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LA POETICA

Ritratto delle moglie 1937Fin dal 1945 Chicco aveva abbozzato, in una pagina di diario, una dichiarazione di poetica alla quale, per molti aspetti, avrebbe  tenuto fede per tutta la vita.
«Desidero che la mia pittura alfine gioisca... Il colore si scapriccia assai più su due donne che su una sola. Ma deploro che nei miei quadri non si scapricci ancora abbastanza. Eppure voglio questo: che l’armonia prenda corso dal capriccio, malgrado le costrizioni, i ritorni, le insistenze, le chiusure obbligatorie. Ora adopero i colori belli, fatti di bella sostanza. Eppure vicino agli Oxford uso un modesto tubo nostrano che è però d’un azzurro che mente, perché non è azzurro ma è sorprendente.
Ora verserò tutto in vasetti. Si domina assai meglio. Il dilemma è ancora molte volte lo stesso, se fermare a un momento eloquente eppure insoddisfacente di tecnica, oppure approfondire la bellezza della materia.
Questo è probabilmente ciò che genera la persuasione. Ci vuole un coraggio enorme a raddoppiare la quantità di pasta impiegata. Ogni pittore ha una sua “quantità”, anche di pasta. Io sto ancora cercando, lo capisco da questa incertezza. Buttare dieci once, venti o tre sole? Un tempo non si andava così, perché si descriveva di più e descrivere è l’esercizio più spirituale, è una vera azione dialettica.
Oggi in tanto astrattismo figurativo, la materia della pittura ha un’importanza quanto mai prima. Guarda Morandi: la sua forza è nella quantità della materia. Ma voglio pensare a me. Io vorrei avere una specie di coda a sferza, che ogni volta che mi allontano dalla mia strada mi desse nei fianchi barbaramente.
Invece ho in me qualcosa che mio malgrado mi approva anche quando sgarro. È il più balordo dei demoni quello che ti dice bravo».

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