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Sito Web Ufficiale di Elisabetta Chicco Vitzizzai

IL PERSONAGGIO

Ritratto di un seduttore

FotoAveva una forte somiglianza con l’attore cinematografico Amedeo Nazzari. Anche per questo piaceva alle donne. Per conto proprio prediligeva quelle dai grandi occhi scuri, pallide e gracili (lui le definiva racées, come si dice dei cani forniti di buon pedigree). Quelle donne dal volto doloroso, facili al pianto e al riso, erano le più sensibili agli strumenti della sua seduzione: le parole e lo sguardo.
Fondamentalmente era un esteta e un pittore, accessoriamente un amante, sempre un seduttore.
Ma voleva anche essere un poeta, un musicista (suonava discretamente bene il pianoforte, la fisarmonica, la chitarra, la cetra), un uomo di mondo, un dandy, un arredatore, un commediografo, un romanziere. Era un cinico sentimentale, a volte scostante (ma mai con le donne, giovani o vecchie, belle o brutte, con le quali era galante senza smancerie), sovente ironico, sempre molto preso da se stesso.
Viveva per se e per la sua pittura. Nient’altro contava, non la famiglia, non le donne che pure erano tante e tanto presenti nella sua vita.
A Torino, nella casa che il padre Pietro aveva fatto costruire in via Cavour 19, c’era il suo studio sotto i tetti, grande e mal riscaldato, genialmente squallido e spoglio. Ma anche dello sterminato alloggio al terzo piano della stessa casa, in cui andò poi a vivere, non fece  altro che uno studio illimitato. Foto2Senza mobili, se si eccettuano un tavolo rotondo, delle sedie, qualche precaria brandina e un grande letto su cui riceveva come su un sofà. Ovunque soltanto quadri, accatastati alle pareti, non appesi, e cavalletti, vasi pieni di fiori (dipingeva molti fiori) e di pennelli, e il solito perenne odore di acquaragia, stanza dopo stanza.
Aveva grande cura di sé. Faceva ginnastica tutte le mattine, non trasgrediva al beauty sleep pomeridiano, si radeva due volte al giorno. Alle sette di sera si toglieva il liso veston di lavoro, si lavava e si cambiava per la cena: una tonificante doccia scozzese con acqua calda e fredda, una frizione con il guanto di crine, un’aspersione di colonia, la vestizione. E’ stato l’ultimo dandy. Il che non significa che fosse un patito della moda. Al contrario. Il vestire era uno dei modi con cui esprimeva la sua personalità, poliedrica, umorale, creativa, individualista, anarchica, amante dell’armonia con qualche dissonanza.
Aveva una collezione di cravatte, una di cappelli (dalla bombetta al cilindro, dalla lobbia alla casquette), una di pipe. Aveva mani e piedi bellissimi, affilati, espressivi; i capelli neri, morbidi e molto ondulati che pettinava bagnandoli con l’acqua; baffetti o baffoni a seconda delle mode e dei tempi. Andava in bicicletta, in ciclomotore, in spider.
Avrebbe voluto essere eterno, o almeno vivere fino a 112 anni. Morì che ne aveva 63, strapazzato e consumato dalla sua stessa voglia di vivere.

Copyright© Elisabetta Chicco Vitzizzai
 

 

Fernanda PIVANO

Medaglioni

Riccardo Chicco pittore (1910-1973)

La scuola è l'ultima delle attività di Chicco. Pare che una delle più vive, anche se tra le meno note, sia la musica. Chicco frequenta lo Hot Jazz Club, come mi diceva con orgoglio una sua allieva suonatrice di contrabbasso. Ma Chicco nello Hot Jazz Club pare non suoni. Mi raccontano che invece suona il piano in certi ricevimenti in collina, e allora si toglie la giacca e resta in maniche di camicia con le bretelle. Poi, mi raccontano, suona, e le signore lo guardano estasiate contorcersi sotto le varie emozioni. "Oh, come la sente la musica", pare gli abbia detto una volta una fanciulla. "Come vibra e si inquieta in tutto il corpo."
"No, guardi che questo è solo perché le bretelle mi grattano la schiena", rispose Chicco. Perché Chicco ha costruito tutta un'etica sulle bretelle. Una volta alla "Capannina", il ritrovo chic di Forte dei Marmi, ha esposto la sua teoria in una conferenza durata oltre un'ora. Si è aperto il contraddittorio, e una fata locale ha esposto la sua tesi che le bretelle oltre a essere antiestetiche sono anche inutili. Chicco imperturbabile ha preferito rispondere con fatti alle parole e si è slacciato le bretelle. Siccome aveva i calzoni un po' larghi, la signora è rimasta perfettamente convinta oltre che assai scossa. Ma Chicco ha al suo attivo ben altre scosse. Una volta ha esposto alla Promotrice il noto I beccaccini. Il Re inaugurava la mostra e si fermava a parlare coi vari pittori. Viene la volta di Chicco, e il Re chiede con regale cortesia: "Che cosa rappresenta questo quadro?". Dicono che Chicco rispose: "La proiezione dell'io sugli organismi cromatici dell'essere". Il Re lo guardò, poi guardò il quadro e disse: "Ah — ho capito". E continuò il giro, ma voltandosi indietro.
Così è Chicco, dominatore di fate e di Re.
(1947)

© 2014 Skira editore
 

 
 
 
Vignetta

"Chicco, un uomo, una maschera? Dell'amico, del pittore Chicco si può dire, come degli attori del teatro greco, che era una maschera, che nell'atto di inventare la sua pittura costruiva il proprio personaggio. La sua pittura era senza linee limitanti, così il suo personaggio che sarebbe dovuto vivere in due grandi città: Londra e Parigi. La sua intelligenza, il suo humor erano la sua stessa persona, la sua forma ...".

OSCAR NAVARRO